Scritta a seguita della scoperta dal vivo del Kinbaku e frammista ad una strana consapevolezza dell'eccesso dell'estasi come desiderio di svanire totalmente (non nelle braccia dell'Altro bensì della Parola stessa). Tipo sempre 4-5 anni fa.
Intonso il tuo corpo nel buio stanzone
Cingi il tuo capo col nodo scorsoio
Niente di macabro o grottesco
Non t’imbroglio
Né gozzoviglio
Dal tuo piglio dipendo e pesco
Poi
Stringo il tuo collo non per farlo giacere
torto
Nella sospensione
Non per portarlo a finale tensione
Ma per stenderlo verso migliore espansione
Facilmente stringo
E ristringo
E cresce il tuo desiderare
Stringo
E restringo
E vai a farti fagocitare
Stringo
E Ristringo
E il cappio ormai è serpente che soltanto vuole
Deliberare
Assopire, sublimare ogni tua piccola mossa
Ma palcoscenica riscossa riparte rossa,
Una fronda impazza, vedo il tuo corpo fremere
È lui
No, non è Bacco
No, Dioniso non ti ha carpito
La Menade non ti ha colpito
No non sei in cerca della
Mia Carne
Della
tua carne
Della
Loro Carne
Della
sua carne,
No.
Sei ormai l’oblio del buio del tempo
L’oblio sul soglio del tempio
Sei nel tempio
Sei un lamento
Un rimbrottato lamento
Di Desiderio
Stringo a te l’uncino che incrina sempre più verso il
Destino
Richiedendo il compenso
Il tuo assenso
Ad ogni mia mossa a cui ogni volta penso
Che ristretta giace e continua a giacere
E a stringere il tuo gran fare da cerimoniere
Che timido
Cerca di esser migliore
Che col suo rituale suppensa di trovare
L’Oltre
Oltre fare
Oltre essere
Oltre avere
Ma dove va se non dispersa
In vacui tentacoli futuri?
Niente, non provi più piacere
Il tuo collo
Ha l’avorio a schiere
Non prega più niente,
Sterile coscienza mi feci di sterile mondo
E non c’è idolo dietro questo niente
C’è soltanto occhio lento
Che preme assente a sbilenco
Il volere ermetico
E nel sudario
Porge il suo corollario
Un mio circoscritto pensiero
Adesso! Adesso! Adesso!
Sarà ancora più
Nero. Nero… nero…
Lo getto in gattabuia
E rifiuto il mio lato sincero.
[poteva finire qua in realtà ma il mood ha preso il sopravvento, credo]
Basta con questa poesia contemporanea
Con questa sciatteria d’endemica natura
Che come aponia
Tenta di superare l’arcione della vetusta tradizione
(Venusta quanto una mangusta che più ormai caccia serpenti,
si fa guardare solo da passanti ammorbanti il pelo;
dai folti colori suadenti)
Dove l’orizzonte si perde oltre
Verso il Palafragone
Quest’animale inventato, mitomane, gatto sconclusionato,
Basta comporre
Basta
Silenzia quello spirto silvestre che da dentro t’investe
Con flaccido fiato
Silenzia per sempre
Il creativo iato
Che dentro ti mangia
Stanga la porta
Stanga la porta del volare sul nulla
Stanga la porta dell’elucubrare, del piramidare, del pindarare
Su montagne che non conosci
cui vuoi stare sopra
Smettila
Stanga la porta e chiuda l’opra.